Si ringrazia per la gentile concessione degli autori Marco Gerbi e Michal Denci – IIC Bratislava ( buongiornoslovacchia.sk )

 

Roberto Cacciapaglia è autore di punta della scena musicale contemporanea italiana più innovativa, attento all’originalità del suono, muovendosi tra ricerca musicale, classicità e sperimentazione elettronica. Da anni compone ed esegue al piano la propria musica, un genere accostabile a grandi nomi come Michael Nyman o Philip Glass. Si tratta di armonie raffinate e meditative che sconfinano nel mistico. Cacciapaglia si è occupato a lungo di musica e danze sacre e conduce da anni studi sui poteri del suono. Le sue composizioni traggono ispirazione da queste esperienze, suscitando intense sensazioni emotive nel pubblico.

Ha scritto colonne sonore per film, tra cui Wild Obsession, Notti Senza Fine, A fior di pelle, e sue musiche hanno accompagnato pubblicità per Ferrari, Moschino, Fiat, Alfa Romeo, Barilla, Illy, Air Canada, Fujitsu, Pininfarina, Kartell, Swatch, Banca Intesa. Sue opere sono state eseguite in molti teatri e festival di musica contemporanea internazionali.

 

 

D: Quando ha iniziato a suonare il pianoforte e qual è stata la molla che L’ha portata a rendere questa passione come la Sua professione?

Ho cominciato a studiare musica e suonare grazie a mia madre all’età di 4 anni. All’inizio è stato veramente impegnativo perché il mio pianoforte era accanto alla finestra, e mentre studiavo scale e arpeggi, vedevo i miei amici che giocavano a pallone fuori in strada. Crescendo mi sono poi lentamente allontanato dal pianoforte, e la cosa che mi ha fatto riavvicinare alla musica è stata l’arrivo del rock, quando ci si trovava nelle cantine a suonare con le scatole del sapone Dixan e le chitarre. Stava allora esplodendo la moda di tastiere e synth, e per suonarli, chi si era esercitato sul pianoforte era avvantaggiato. E da sempre, nella mia carriera, cerco di portare avanti questo doppio binario, facendo un distillato e un’integrazione di queste esperienze.

D: Cosa prova un musicista mentre suona? Influisce il fatto di usare un dispositivo elettronico per creare dei suoni sull’intensità delle emozioni prodotte dalla musica?

Il paesaggio sonoro elettronico lo costruisci, lo progetti come un architetto, mentre in quello acustico, e includo la vocalità, entra la fisicità, il tocco e il respiro: è una trasformazione di energia attraverso il corpo. Nel rock l’elettronica è risultata più gradevole perché – rispetto a Berio o Stockhausen – Brian Eno, Kraftwerk, Tangerine Dream, hanno usato gli strumenti elettronici nello stesso modo in cui usavano gli strumenti acustici, mantenendo le stesse modalità tonali.

D: Quale spazio ha la musica contemporanea italiana nel panorama internazionale?

L’Italia è la patria di Monteverdi, Verdi e Puccini. Da sempre è stata punto di riferimento per la musica classica occidentale. Oggi vediamo la musica classica contemporanea come una musica di nicchia, e invece non è mai stato così. Ai tempi di Verdi, anche gli analfabeti si ritrovavano per le strade a cantare le arie più famose. La musica classica si è sempre rivolta al grande pubblico, ed è proprio questo cambiamento avvenuto negli ultimi anni, parallelo all’esplosione del grande pop e rock, che l’ha progressivamente allontanata dalle persone.

D: Quali sono i musicisti che maggiormente L’hanno influenzata?

Sicuramente i grandi musicisti della classica, da Bach a Handel, da Mozart a Beethoven, e gli ultimi grandi operisti italiani – Verdi e Puccini. Anche la musica sacra è da sempre stata fonte di ispirazione. Ho suonato anche a Gerusalemme, al Festival di Tel Aviv, dove, assieme alle opera di Monteverdi e Palestrina, sono stato chiamato a rappresentare la musica sacra italiana. Allo stesso tempo, sono sempre rimasto colpito della forza e dei grandi “martiri del rock”, a cui ho anche dedicato un mio cd – Angelus Rock. Da Jimi Hendrix a Elvis, da Jim Morrison a Janis Joplin. Tutti quei personaggi la cui musica era vera proprio perché corrispondeva completamente alla loro vita. Non a caso molti di loro sono poi morti giovanissimi.

D: Quali sono i generi musicali che ama ascoltare (e chi in particolare artista/gruppo )?

La classicità di Bach e di Handel, e tutta la musica sacra, che è da sempre fonte di ispirazione. Ma non solo, anche il rock di Pink Floyd e Jimi Hendrix, e la musica brasiliana di Joao Gilberto. Anche in questo caso cerco sempre di spaziare a 360°, non esiste un genere di musica “minore”. Ma è proprio all’interno di ogni genere che ci sono musicisti “maggiori” e “minori”.

D: C’è un episodio (o un incontro) nella Sua carriera che è stato particolarmente significativo?

Diciamo proprio un episodio-incontro. Facendo una ricerca sui poteri del suono, sono stato a visitare le case dei grandi musicisti, quella di Beethoven a Vienna, di Mozart a Salisburgo, di Puccini a Torre del Lago e molte altre, perché mi interessava vedere, in quei luoghi dove sono nati tanti capolavori, che cosa era rimasto.

In questa specie di pellegrinaggio sono stato poi a Londra, dove ha vissuto Handel nella sua permanenza inglese. Handel mi interessava perché durante i suoi concerti piangeva tutta Londra. E, dal punto di vista dei poteri del suono, penso questa sia una cosa straordinaria.

Sono stato in questa casa molto bella, che adesso è un museo, in un quartiere bellissimo di Londra, dietro Bond Street. Ero immerso in questo periodo storico, tra clavicembali, stampe, partiture dell’epoca, del 700 inglese, quando, finita la visita, nella stanza dove vendono libri, CD, souvenirs, mi sono trovato improvvisamente davanti a delle gigantografie, fotografie, manifesti, CD di Jimi Hendrix..

Ero talmente stupito che sono andato a chiedere, e la signorina che vendeva i libri, con una nonchalance tutta british, mi ha detto che Jimi Hendrix ha vissuto tre anni in quella casa prima che diventasse un museo, senza sapere che fosse la casa di Handel.

Questa circostanza, apparentemente casuale, mi ha colpito tantissimo: Londra è enorme, ci sono milioni di case, mi è sembrato che, due musicisti così importanti per la storia della musica vissuti a 250 anni di distanza nella stessa casa, meritasse un pezzo, cosi ho scritto questo pezzo che si chiama: “Handel Hendrix House”, H.H.H. che sarebbe la casa di Handel e di Hendrix.

D: Ascoltando la Sua musica e leggendo quanto è stato scritto su di Lei si ha l’impressione che il suono per Lei abbia una valenza anche mistica, può dire qualcosa di questo?

La musica per me è veicolo in senso alto, autostrada per trasformare l’emozione dei suoni in un contatto con l’anima, gli altri esseri e il Sacro. Ho un mio filo conduttore, un’idea base che consiste nel pensare la musica come mezzo e non fine. Se parliamo di stili, posso dire che si lavora sullo spazio esterno ed interno, ovvero sulla concentrazione e propagazione che lavorano insieme. Se paragoniamo un suono invocativo in una chiesetta dell’anno 1000, sarà molto simile a quello riprodotto oggi nella medesima chiesetta sperduta in montagna. Proprio perché il suono che si rivolge all’interno, all’anima, non muta. È vicinissimo all’essenza. Se invece si rivolge un suono all’esterno, nel sociale, la cosa è molto diversa. La musica si trasforma seguendo l’epoca e le mode, proprio come i vestiti e i luoghi di incontro. Per questo, se paragoniamo il Glenn Miller dei club degli anni ’40 ad una discoteca dei nostri giorni, nonostante siano passati molti meno anni rispetto alle due chiesette, vi è una differenza molto più grande. Proprio perché i suoni che si rivolgono all’interno non mutano, mentre quelli che si rivolgono al sociale si travestono indossando quello che io chiamo le “Maschere del Suono”.

D: Esistono delle differenza tra comporre musica per film e quella che non deve accompagnare delle immagini?

Tantissime. Anche se molto dipende poi dalla libertà che il regista lascia nel momento dell’incontro. Scrivere musica per una Colonna Sonora è comunque molto diverso proprio perché attraverso la musica bisogna sottolineare l’idea del film, il sentimento dei personaggi e il messaggio stesso che il regista vuole lanciare attraverso la sua pellicola.

D: Dove cerca l’ispirazione per le Sue composizioni?

Mia madre, sin da quando ero molto piccolo, mi ha fatto notare che ci sono due momenti nella giornata dove la natura si ferma: uccelli, alberi, mare, vento… È come se il pianeta diventasse immobile. E questi momenti sono appena dopo il tramonto e subito prima dell’ alba: durano 40-45 minuti. È come se all’alba il pianeta cominciasse una lunga inspirazione, che dura tutto il giorno, poi c’è questo momento di sospensione, e poi una lunga espirazione che dura tutta la notte, fino al sorgere del nuovo sole. E questo assomiglia molto al nostro modo di respirare. Se ci fate il caso, anche noi quando finiamo di inspirare, poi l’espirazione non è immediata, ma c’è sempre una sospensione, che in scala dura un attimo, un momento di pausa. E dico tutto questo perché proprio in questi due momenti sono sempre stato molto sensibile. E proprio durante questi momenti ho scritto molti brani, ricevendo quelli che considero dei veri e propri regali dalla natura.

D: È da molti anni che fa una ricerca sul suono, sulle sue potenzialità. Ha trovato delle differenze nelle varie concezioni della musica e del suono in diverse culture? Da questo punto di vista, secondo lei, fino a che punto la musica è un linguaggio universale?

La musica è linguaggio universale proprio perché, fra le arti, è quella che dà meno indicazioni. Rispetto alla poesia o alla pittura, non ci sono parole da leggere o immagini da guardare. Ognuno è totalmente libero di sentire una melodia e metterci dentro quello che vuole, quello che più gli corrisponde. Nelle varie culture, certamente la musica è influenzata dalle tradizioni, ma resta comunque uno straordinario punto di incontro. Sono da poco stato negli Emirati per un concerto che univa il mio ensemble, la Dubai Philharmonic Orchestra e alcuni musicisti e percussionisti delle oasi, tipici della tradizione araba. E nonostante le diversissime tradizioni e le barriere lingustiche – loro non parlavano inglese né tantomento italiano, io non parlo l’arabo –  c’è stato un incontro meraviglioso. Proprio perché la musica abbatte qualsiasi frontiera. L’arte unisce sempre: in senso alto, bello.

D: Quali sono le diversità tra suonare le proprie composizioni e quelle scritte da altri?

Molta della musica classica è “suonata”. La diversità è che nel momento in cui un brano viene interpretato, la bravura dell’interprete è proprio quella di risalire alle emozioni e allo stato che il compositore aveva nel momento in cui lo ha scritto e diventare un ponte per trasmetterlo a chi ascolta. Invece suonare i propri brani è totalmente diverso, proprio perché si ha chiarissimo quali sono i messaggi che si vogliono far passare e qual è l’armonia che si vuol raggiungere con l’ascoltatore. Da qualche anno ormai vedo sempre più nei giovani il desiderio di comporre e suonare le proprie opere in prima persona. Il pianoforte è diventato quello che un tempo era la chitarra. E proprio per dare supporto a questi loro desideri ho aperto la Educational Music Academy: sono molto contento di questa mia iniziativa. Voglio dare autonomia a questi giovani artisti molto bravi, per affrontare la società e il mondo che è fuori. È giusto rafforzare la consapevolezza delle giovani generazioni.

 

 

Il presente articolo è parte dell'intervista realizzata da Marco Gerbi e Michal Denci – IIC Bratislava, per il quotidiano online http://www.buongiornoslovacchia.sk/