Il 28 dicembre del 1962 nasceva a Orange, in Francia, Michel Petrucciani, uno dei maggiori musicisti jazz del Novecento. Affetto da una rara forma congenita di nanismo (osteogenesi imperfetta o ‘sindrome delle ossa di cristallo’) Petrucciani ha sempre considerato il suo handicap fisico come un vantaggio, che gli ha consentito di votarsi completamente alla musica. Talento precocissimo, era un pianista dotato di una tecnica straordinaria, spesso associata a quella di compositori del calibro di Bill Evans, di Keith Jarrett e di Oscar Peterson. Morì a soli 36 anni il 6 gennaio 1999 a New York.
Il giornale “La Repubblica” comunicò così la notizia: repubblica.it/online/mus…
Addio a Petrucciani virtuoso del jazz
Oltre le barriere
Michel Petrucciani rappresentò forse più di ogni altro quella capacità di essere una creatura che Carl von Linné avrebbe catalogato come «Homo Sapiens Monstruosus» e insieme un genio assoluto del jazz. Capace di superare, grazie alla musica, qualunque barriera. Racconterà Mary-Ann Topper, la manager degli anni newyorkesi: «Non ho mai conosciuto nessuno che amasse vivere come Petrucciani, e vivere la vita in pieno. Un giorno mi disse: “Mary-Ann, voglio avere almeno cinque donne in una volta e voglio fare un milione di dollari in una notte”. Cose impossibili. Ma Michel non pensò mai che qualcosa fosse impossibile. Sennò non avrebbe mai fatto niente». «Non l’ho mai sentito che si lamentasse di qualcosa», confermerà il sassofonista Wayne Shorter, «Michel non si guardava nello specchio e non si lamentava di ciò che vedeva riflesso. Era un grande musicista. Un grande musicista. Grande perché era anche un grande essere umano». Era uno gnomo, agli occhi degli altri. Ma divino. Figlio di Tony, un chitarrista dilettante di origine napoletana, nato nel 1962 a Orange, nel dipartimento di Vaucluse amatissimo da Petrarca («Chiare, fresche et dolci acque»), Petrucciani soffriva di osteogenesi imperfetta, nota appunto come la malattia delle ossa di cristallo.
La magia della Musica
Ma qual era la magia che gli consentì di affascinare tutti? «Marcus Roberts e Michel Camilo hanno una tecnica migliore; Bill Charlap e Eric Reed possiedono un controllo migliore; Fred Hersch ha un’ampia gamma emotiva; Uri Caine è più avventuroso», risponde Hajdu. «La loro musica offre una ricchezza di gratificazioni. Ma non il semplice piacere di Petrucciani». Piacere puro: «Si fidava dei suoi impulsi. Se gli piaceva il suono di una nota, poteva improvvisamente mollare una melodia e ripetere quella nota decine di volte». «Quando suono, suono con il mio cuore, la mia testa e il mio spirito», spiegò il piccolo grande genio in una intervista: «Così sono io, non suono per le teste della gente, ma per i loro cuori, mi piace creare risate ed emozioni, questo è il mio modo di lavorare». E fu così fin dal suo esordio, avvenuto al Cliousclat Festival, nel distretto della Drome, quando aveva poco più di tredici anni e aveva passato gli ultimi nove a suonare dieci ore al giorno da solo, in casa, su un vecchio pianoforte recuperato dal padre in una caserma abbandonata.
Testo parziale di: Gian Antonio Stella per il Corriere Della Sera